Mi piacciono le canzoni di Elio e le Storie Tese, e mi piacciono anche quando parlano di donne, perchè sono politicamente scorretti ( e questo mi piace molto) e perchè descrivono donne vere.
"Essere donna oggi" parla di mestruazioni e dal momento che io riconosco di essere una femmina ormonalmente devastata in alcuni periodi del mese, sono molto serena nello scrivere questo post proprio oggi, che i miei ormoni sono felici e rilassati perchè è appena finita la burrasca e si ricomincia yuhu. Oltretutto posso scrivere questo post "a caldo" perchè la riflessione è venuta fuori da una conversazione di ieri, alla quale ho pensato molto, e credo possa servire discuterne oggi come credo (spero) sia servito parlarne ieri, perchè siamo umani, abbiamo ormai una certa età, ma non è che le persone, se sono intelligenti, non possono cambiare idea. Anzi.
Ieri sono stata ad un convegno molto interessante, pieno di progettualità e di resoconti di esperienze di ricerca di-a-da-in-con-su-per-tra-fra i musei delle zappe, tutto incentrato sulla promozione da parte della Regione Toscana di iniziative e ricerche e creazione di reti tra musei e archivi demoetnoantropologici sulla cultura mezzadrile in Toscana (clicca qui
forza , se ne vuoi sapere di più, anche se tanto ho cominciato anche un post apposito).
Lo spiego per due motivi: uno di ordine promozionale per l'iniziativa, ed uno perchè da lì viene la "copertina" del post, che fa parte di un gruppo di stampe di manifesti della CGIL che erano in distribuzione al convegno insieme ai materiali informativi sui vari musei e progetti toscani sul tema. Non so chi li avesse portati, ma ho scelto lipperlì quelli che mi piacevano di più, ed i due qui in testa ed a capo secondo me parlano da soli. Inauguriamo quindi il tema della giornata: che cosa vuol dire essere antropologa oggi?
Antropologa, non antropologo, che ognuno ha i suoi problemi (e di quelli degli antropologi potremmo parlare in un successivo post).
Premessa: uno che vuole fare l’antropologo, sebbene non abbia velleità di scrivere romanzi o di dipingere capolavori, attività, quelle ARTISTICHE, per le quali assolutamente non ci si deve aspettare una retribuzione sufficiente a vivere (per carità, ci sono tanti di questi racconti su chi lavorava alle Poste, chi faceva lo scopino, poi è diventato IL maestro, l'Autore blablabla) purtuttavia, vive una situazione difficile, dovuta a vari fattori generalmente riconducibili alla condizione di precariato.
Devo però specificare che io ho avuto la fortuna, dall'inizio, da quando ho cominciato a lavorare dopo la laurea, di lavorare con una persona veramente seria, oltre che geniale.
Quindi, da quando ho iniziato a lavorare, io sono stata pagata per quasi tutti i miei lavori, elemento non scontato quando lavori per un dipartimento o una cattedra universitaria. Io ho amici/che che fanno un corso annuale all'università per 200 studenti e non ci pagano nemmeno il treno per andare a lezione (sapete poi che vuol dire correggere 200 compiti scritti e fare 200 esami orali?).
Quindi, nella fortuna, comunque mi muovo in una situazione, quella dell'università e del settore dei musei e dei beni dea, che è terribile, e la conseguenza è che se vuoi fare qualcosa in questo campo, o lavori consapevolmente per due euro, o hai una cantina (beato te) e quindi non hai problemi di risorse finanziarie, oppure puoi sempre sposare un laureato in Economia ricco.
Mettiamo il caso quindi che tu sia, oltre che laureato in antropologia ed appassionato di quello che hai studiato e quindi che tu voglia restare in qualche modo nel tuo campo di interesse, anche una donna.
Io non ci penso mai a questo, non perchè non ne sia consapevole (fortunatamente ogni tanto qualcuno nella mia scollatura ci guarda e mi ricordo del perchè sono orribilmente nervosa - questa la capiscono solo le donne con più di una seconda) ma perchè do per scontato che io ed un uomo veniamo trattati esattamente nello stesso modo, nel lavoro. Ovviamente noi donne abbiamo il meraviglioso privilegio di ricevere fischi dagli operai quando abbiamo la minigonna (puoi essere anche uno scorfano, ma la minigonna funziona sempre) cosa che, se la sai apprezzare, ti assicuro che ti migliora la giornata di dieci punti almeno, ma poi succedono altre cose che non tornano.
Ah, mi rendo conto che questa è una ingenuità vergognosa da parte mia, ma a 32 anni sto recuperando. La consapevolezza che ci sono persone sul lavoro che ti trattano diversamente perchè sei una donna mi è venuta mentre ero in una grande società a lavorare come segretaria (fare la segretaria di direzione è meraviglioso comunque, io devo dirlo, nel senso che vedi mondi altrimenti impenetrabili e li vedi da un punto di osservazione unico e privilegiato, soprattutto se appunto in realtà sei un’antropologa, magari scriverò qualcosa a riguardo, sperando che i miei nuovi capi non lo leggano).
Tornando alle femminucce e ai maschietti, comincio due anni fa a subodorare che c'è qualcosa che non va, e che se vuoi essere un manager d'azienda e sei donna, la cosa non è proprio facilissima, e soprattutto c'è un problema : i figli.
Accesso di indignazione (non ormonale, ripeto, sono fuori pericolo):
Un problema, appunto, ma vi rendete conto del fatto che dover fare questo discorso oggi è allucinante? non sono bastate generazioni di donne che hanno rotto le scatole per affermare diritti, dobbiamo ancora farlo? il problema è che ormai parlarne è tabù. Provateci, è una cosa spaventosa. Una pensa: hanno lottato per me le suffragette, e ora voto, ha lottato per me la Montessori - vergogna, ho visto la fiction, lo ammetto, perchè c'era la Cortellesi che è veramente brava -e la Levi Montalcini e la Guggenheim, e insomma tutte le donne che hanno dimostrato che i microbi nei microscopi li potevano vedere anche le donne e non diventavamo mica isteriche per l'emozione (scusate, mi stavo facendo prendere la mano e via con la retorica). Insomma, negli anni '70 le femministe sono dovute andare in giro a spaccare i maroni (confermando stereotipi maschili sulle donne, ovviamente, poi, no?) e a dire che le donne hanno bisogno dell'uomo quando un pesce di una bicicletta (citazione che riprendo da una canzone degli U2 che ora non ricordo, ma la citavano loro) e ora?
Ora, tu dici, potrò andare in giro vestita come mi pare e non dovrò odiare gli uomini perchè non mi fanno fare la carriera che merito e potrò quindi sposarne uno e potrò anche fare dei figli e questo non significherà per me perdere tutto il lavoro fatto finora.
Ora, questo che segue l'ho visto accadere in un contesto professionale di azienda grande, dove la Carriera te la giocavi con un paio di gravidanze, e se non ti sbrigavi a rispondere al cellulare due minuti dopo aver partorito ti giocavi la credibilità. Ho osservato personalmente il caso di una dirigente di altissimo livello che pochi giorni dopo aver partorito già era sulla sua posta elettronica e attiva al lavoro, è stata in ufficio fino all'ultimo, ed è tornata quasi subito dopo il parto, è stata attiva e reattiva praticamente anche durante l'epidurale... (credo di stare esagerando, ma non si sa mai). Una cosa terrificante, ma intanto il suo posto da dirigente è rimasto fisso lì, se lo è ripreso subito. Nei confronti di altre colleghe, che magari uscivano un po' prima per allattare (attività disciplinata da una apposita regola che permette ore di permesso per l'allattamento) l'atteggiamento di chi non le trovava in ufficio perchè erano andate ad allattare, era di profondo fastidio.
Quindi penso (ingenua ed ottimista) che nelle aziende private, dove il Profitto conta e se vuoi fare Carriera non puoi lasciare un attimo per andare a riprodurti, le cose sono così. Che brutto, ma che brutto del resto che è il mondo delle grandi aziende e del Profitto e della Carriera e del
Blackberry (ecche è? clicca sulla parola e capirai) che lo porti anche al bagno casomai arriva una mail in quel momento, blablabla. Noi invece siamo antropologi, siamo quasi tutti di sinistra, chi più centro-sinistra, chi più Rifondazione, insomma, abbiamo fatto tutti un po' , almeno, di lotte politiche, i più giovani almeno un paio di occupazioni , insomma, poi fare l'antropologo presuppone l'essere aperto, rispettoso delle differenze, dei diritti dei ceti e dei gruppi che rivendicano visibilità e rispetto. La società multiculturale. I ceti subalterni.
Insomma, negli ultimi tempi invece, per ben due volte, ho sentito commenti su colleghe/conoscenti che avevano avuto figli, che fondamentalmente contenevano il concetto che, per aver avuto figli, queste persone avevano in qualche modo perso punti, perchè ora le priorità erano cambiate. E pertanto, non si potevano dedicare come dovuto alla ricerca, ai progetti, all'antropologia, al lavoro.
Ora, io non credo che nessuno nel mio mondo professionale delle zappe e degli aratri, possa veramente seriamente pensare che una collega che mette il lavoro in secondo piano perchè ha avuto un figlio sia in alcun modo "meno" di quello che era prima professionalmente, quindi mettiamola così, magari HO CAPITO MALE.
Io non penso che le donne dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini, perchè hanno potenzialmente più doveri (intesi come campi di realizzazione sociale della persona). Perchè oltre al lavoro, che è un divertimento che non si può lasciare solo agli uomini, hanno anche la possibilità di fare figli. Quindi, di diritti, ne devono avere DI PIU'.
Intanto, una ricercatrice precaria che vuole avere un figlio, sta messa molto peggio di un ricercatore maschio che fa lo stesso identico lavoro. Non esistono diritti veri per le donne che lavorano precarie nell'università e nel mondo dei beni culturali dea, nel momento in cui, fortunate che hanno trovato un compagno, pensano di riprodursi (detto così sembro Piero Angela).
Il risultato, è che veramente poche delle mie colleghe fanno figli, e li fanno sempre più tardi, ma questo vale per tutte le categorie professionali, il problema per una ricercatrice precaria, è che se fa un figlio, non solo non prende lo stipendio, ma non ha praticamente diritto a nessun sostegno economico, non solo.. poi, se volesse per caso riprendere a lavorare, c'è la difficoltà di trovare un asilo nido, oltre a quella di ingranare di nuovo rientrando nel suo ambiente.
Il mondo della ricerca etnografica e dei musei dea è già veramente difficile (anche se i segni di una nuova fase di interesse si sentono sempre più forti, ne vedremo i frutti spero presto) ma se ci mettiamo anche residui di maschilismo antico (o da super manager) la cosa diventa veramente preoccupante.
Io vorrei proporre con questo post due temi di discussione ulteriore: dove, se, vedete discriminazioni di genere? Io ho sempre pensato che non ce ne fossero, ma sospetto che ci possano essere delle sacche, e che uno dei motivi per cui non le si rilevano subito, è che non siamo veramente disposte all'idea che i motivi per cui a volte lavorare è più difficile possano dipendere da questioni di genere. Un episodio per tutti al volo: io, ed altre 3 giovini antropologhe laureate e con esperienza professionale pluriennale, abbiamo lavorato insieme per un progetto veramente importante. Alla presentazione dei risultati di un anno e mezzo di lavoro, un convegno ufficiale presso una sede prestigiosa, noi eravamo non le dottoresse, non le ricercatrici, ma le RAGAZZE.
Detto questo, se si inaugurasse poi una reale discussione sulla questione del precariato universitario, forse potremmo, uscendo dalle lamentele fini a se stesse, tentare una etnografia del precariato che possa aiutare tutti ad uscire dalla situazione in cui siamo, ed a creare un campo professionale veramente speciale.
Qualcuno ha qualcosa da dire? parliamone qui, potete scrivere dei commenti anche di due pagine, c'è un bel po' di spazio.